4.12.05

Un sorriso



C’era una volta un ragazzo col pizzetto.
Questo ragazzo era un bel ragazzo, alto, con mani lunghe e denti perfetti; il suo difetto era però vivere per se stesso.
Con gli amici era divertente, spigliato, compagnone.
Con le ragazze era divertente, spigliato, affascinante.
Non poteva certo lamentarsi della sua vita sociale: avrebbe fatto invidia a chiunque il suo giro.

Un giorno s’imbatté per caso in una ragazza. Si scontrarono in un negozio, durante gli ultimi acquisti di Natale. Senza neanche guardarla, lui scoccò il suo miglior sorriso: “Oddio, scusami!! Sono sbadatissimo e di corsissima!”. Sorriso. Alzò gli occhi e la vide e di certo pensò che non era il suo ideale di ragazza. “Ah”, riuscì solo a mugugnare distrattamente, pensando già al negozio successivo.
Quanto poco rispetto ci fu in quel mugugno; talmente poco che lei sentì come un cazzotto sulla mascella. “Niente” sussurrò appena lei. Sorriso.

Mentre si agitava nel letto d’ospedale, il bel ragazzo col pizzetto pensava a tutto ciò che fuori andava inesorabilmente avanti senza di lui. Non poteva essere capitata proprio a lui questa disgrazia; a lui così bello, con queste mani grandi e forti, con questo appeal innato. Mentre si contorceva in un misto di dolore fisico e rabbia entrò un’infermiera per controllare la flebo. Un’altra per somministrargli gli antidolorifici.
“Infermiera! Infermiera!” di corsa la ragazza piombò nella camera cercando l’infermiera: “Le macchine…Giovanni…dei rumori strani! Aiuto!”. L’infermiera posò il vassoio delle medicine e con uno slancio d’atleta corse fuori. La ragazza, inebetita, rimase sull’uscio, guardò dentro con la lucidità della sofferenza e tra le bende e i lividi riconobbe il bel ragazzo con il pizzetto. Nemmeno una settimana fa le aveva dato un cazzotto sulla mascella. Si toccò il volto con un gesto istintivo; guardò il corridoio, la stanza, di nuovo il corridoio. Medici ed infermiere entravano e uscivano concitatamente dalla stanza di Giovanni. Era finita, o meglio stava finendo e la sensazione era terribile; qualcosa che ti sfugge via dalle mani, come il bianco dell’uovo che ti sembra di tenere e invece sguscia via. Rimane solo appiccicato, uno strato trasparente appiccicato. Gli altri non lo vedono, tu lo senti. E da fastidio.

Sorriso. Un sorriso per il ragazzo col pizzetto. Uno per Giovanni. Un sorriso a Dio. E poi di corsa giù per le scale, fuori al freddo del Natale, per sorridere alla solitudine.

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